IL
DIRITTO ALL'EDUCAZIONE PER TUTTI
Rapporto UNICEF 1999
Di
Marco Fantoni
"L'educazione è un diritto dell'uomo, portatore di un'immensa speranza
di trasformazione. La libertà, la democrazia, lo sviluppo umano duraturo
figurano in questo diritto".
Sono le prime parole di Kofi Annan, Segretario generale dell'ONU nell'introduzione
del rapporto dell'UNICEF sulla situazione dei bambini nel mondo per quanto riguarda
l'educazione.
Nello stesso, riscontriamo come nei Paesi in via di sviluppo, 130 milioni di
bambini, dei quali la maggioranza sono femmine (ca. 73 mio.), non possono esercitare
il diritto all'educazione. Inoltre, più di un miliardo di persone, dunque
un sesto della popolazione mondiale, è analfabeta ed anche in questo
caso, con una maggioranza femminile.
Anche qui non si può non ricollegarci a quanto già detto in precedenza
per quanto riguarda i diritti dell'uomo. Sappiamo tutti cosa vuol dire non avere
un'educazione. Lo sappiamo noi che l'abbiamo ricevuta e che avremmo magari voluto
riceverne una migliore oppure aver studiato maggiormente per aver potuto, in
seguito, approfittare di quella conoscenza che ci avrebbe permesso di muoverci
meglio all'interno della nostra società. Nei rapporti umani, nelle relazioni
con culture diverse o semplicemente con noi stessi. Sappiamo forse meglio guardando
a certi Paesi, cosa vuol dire non aver ricevuto un'educazione o meglio non aver
ricevuto il diritto a frequentare una scuola. Questo per motivi a volte contingenti,
come il precario stato della nazione in cui si vive e che non riesce a garantire
a tutti un insegnamento. Ma qui si potrebbe aprire un capitolo sulla priorità
che viene data in certi Paesi all'utilizzo dei fondi pubblici. In molti casi
invece il diritto all'educazione è negato per scelta politica, perché
un popolo che pensa poco e ragiona ancora meno è maggiormente governabile.
Ed è quello che succede ancora troppo spesso. A volte il diritto all'educazione
è negato all'interno dello stesso nucleo famigliare, dove i bambini vengono
mandati a lavorare per poter avere una minima entrata economica. Così
oltre a negare il diritto all'educazione si nega pure il diritto all'infanzia.
Non vogliamo qui colpevolizzare quelle famiglie che si comportano in questo
modo. Ma anche questo fa parte di un'educazione perlomeno deviante e provocata
da chi gestisce una nazione con obiettivi che con la dignità umana hanno
poco a che vedere. Mantenere un popolo senza educazione vuol dire negare il
progresso democratico e sociale con conseguenza di pace interna ed internazionale.
Il rapporto, facendo riferimento alla convenzione dei diritti del bambino del
1989, afferma come il diritto all'educazione è una questione di equità,
di giustizia e di economia. In effetti, si legge, esiste una correlazione tra
l'educazione e il tasso di mortalità, in particolare la mortalità
dei bambini con un età inferiore ai cinque anni. E ancora una volta sono
le bambine ad essere le prime vittime. A questo proposito, si fa notare come
l'educazione a livello elementare delle bambine, se aumenta del dieci per cento,
può portare ad una diminuzione di mortalità infantile del 4,1
di decessi ogni 1000 nascite. Un aumento simile nell'insegnamento secondario,
porta ad una diminuzione di 5,6 decessi ogni 1000 nascite. È portato
l'esempio del Pakistan, dove un anno supplementare di scuola, per un numero
addizionale di 1000 bambine, permetterebbe di evitare 60 decessi di bambini.
Dunque, come sottolinea ancora il rapporto, rifiutare il diritto all'educazione,
è compromettere la capacità delle persone a realizzare un lavoro
produttivo, a provvedere ai propri bisogni e a quelli delle proprie famiglie
ed a proteggersi. Ma quando si capisce l'importanza della salute, della nutrizione,
l'influsso della mortalità diminuisce all'interno delle famiglie. La
produttività economica e la stabilità finanziaria e sociale si
ritrovano pure rinforzati.
Il rapporto fa giustamente notare che non si tratta solo di garantire un'educazione,
ma di garantire un'educazione di qualità, dove il modo di trasmettere
il sapere, le competenze e i valori è altrettanto importante che il contenuto
dell'insegnamento.
Si segnalano pure le cifre a livello mondiale sulla mortalità infantile
mettendo a confronto gli anni 1960 e 1997. Da qui si può notare ad esempio
come in Svizzera nel 1960 avevamo un tasso di mortalità per bambini sotto
i 5 anni del 27% e sotto l'anno d'età del 22% mentre nel 1997 avevamo
un tasso del 5% per entrambi i casi. Questo, nel 1997, con una popolazione di
7,3 milioni di abitanti ed un numero di nascite di 79'000.
Nel Niger la tendenza è rimasta uguale con una percentuale del 320% sia
nel 1960 che nel 1997 per i bambini con meno di 5 anni e del 191% per bambini
sotto l'anno d'età. Con una popolazione che nel 1997 raggiungeva i 10
milioni di abitanti e con un numero di nascite che si aggirava attorno ai 500
mila. Sono questi due casi estremi da contrapporre, ma che mettono in evidenza
i margini di differenza possibili.
In passato, negli anno '60 e '70 gli Stati che ottenevano l'indipendenza mettevano
l'educazione ai primi posti delle loro priorità. Il primo presidente
della Repubblica Unita di Tanzania, Julius Nyerere, già insegnante, affermava:
"L'educazione non è un mezzo per sfuggire alla povertà delle
nazioni, è il solo mezzo per combattere la povertà". Una
dichiarazione che la dice lunga sulla considerazione dell'educazione all'interno
di una nazione. Spesso però la messa in pratica dei proclami lascia spazio
ad altre priorità e l'educazione perde quel peso specifico che dovrebbe
mantenere regolarmente per favorire lo sviluppo della persona e della nazione
in generale.
Il rapporto ha voluto così evidenziare come anche in questo importante
settore la strada da compiere è ancora molta. Compito delle grandi organizzazioni
impegnarsi per migliorare la qualità di vita nei Paesi maggiormente colpiti
e responsabilità di tutti vegliare affinché questo sia possibile.